Quella degli stadi di proprietà è un’annosa questione in Italia. Spesso, infatti, quando si confrontano gli impianti della nostra Serie A con quelli dei maggiori campionati europei, emerge una netta differenza in fatto di standard qualitativi. Stadio di proprietà vuol dire maggiore efficienza, maggiore comodità per i tifosi ma anche tanti introiti che possono consentire a una società di fare un balzo in avanti importantissimo, senza dover sistematicamente ricorrere ai contributi dei soci per coprire perdite che anno dopo anno stanno assumendo porzioni sempre maggiori.
A Roma, ad esempio, appena il pallone si ferma si torna a parlare della costruzione dello stadio.
L’Olimpico sembra diventare sempre più inospitale per i tifosi giallorossi tanto che nel corso del big match contro l’Inter, 2 ottobre 2016, la partecipazione di pubblico è stata ben lontana da quella che avrebbe meritato uno spettacolo di quel livello. Ad ammirare i gol di Dzeko e Manolas solo 40.000 spettatori, contro i 65.000 registrati negli anni migliori[1].
Tuttavia, è difficile entrare nel dibattito in corso sul progetto del nuovo Stadio dell’A.S. Roma: perché è un tema complesso, in cui si accavallano, confondendosi, molti aspetti che invece andrebbero affrontati separatamente, e soprattutto perché è difficilissimo distinguere i dati oggettivi dalle opinioni, oltretutto avendo a disposizione informazioni decisamente insufficienti.
Proverò lo stesso ad affrontare il tema e a prendere una posizione, soprattutto perché sono consapevole che il nostro gruppo di lavoro è diventato in qualche modo un riferimento per chi vuol sapere e capire, e si aspetta che non ci tiriamo indietro quando si presentano nuove e spinose questioni. Fermo restando che anche noi siamo perennemente alla ricerca della verità, e non diamo mai per scontato di averla in tasca.
Era il marzo 2012 quando Gianni Alemanno dava il via libera per la costruzione del nuovo stadio.
Si fa. Stavolta, si fa.
Lo stadio della Roma non è mai stato così vicino a vedere la prima pietra. Se ne parla da decenni, chiacchiere e parole, presentazioni e modellini, promesse e bugie.
Ma come si era arrivati a questa decisione? Una società americana aveva rilevato il pacchetto azionario dalla vecchia gestione Sensi e, dopo un avvio stentato, sembrava aver intrapreso la strada giusta, quella che nel calcio di oggi, prima che a trofei e scudetti, conduce alla massima monetizzazione, oltre che allo splendore nell’apparire davanti alle prestigiose e stilose vetrine europee. Così, dopo i primi due anni sofferti, colmi di errori e culminati con la disfatta della sconfitta in finale contro i rivali di sempre della Lazio, Pallotta & Co. decidono di dare una svolta ai propri investimenti, indirizzando il proprio denaro verso lidi certi e assoldando uomini e collaboratori di livello.
Il 29 dicembre 2012, mentre la Roma è a Orlando in Florida per una tournèe invernale, il presidente Pallotta tiene una conferenza stampa, sempre a Orlando, in compagnia del Ceo Italo Zanzi, il capitano Francesco Totti e il costruttore Luca Parnasi. In contemporanea, a Trigoria, va in scena un’altra conferenza stampa, tenuta dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e dall’Ad Claudio Fenucci[2].
È gennaio 2012 quando la società giallorossa affida alla Cushman & Wakefield l’incarico di analizzare le proposte di possibili terreni messi a disposizione per realizzare lo stadio.
Un passo importante, concordato con il primo cittadino romano: la Roma avrà il suo nuovo stadio e sorgerà sui terreni di Tor di Valle. L’architetto che redigerà il progetto è lo statunitense Dan Meis, che ha già realizzato numerosi stadi negli Usa[3].
Nello stesso giorno in cui Obama sbarcava nella capitale d’Italia, James Pallotta, presidente bostoniano del club giallorosso, presentava in Campidoglio il progetto per il nuovo stadio di proprietà. L’idea è quella di riprodurre in chiave moderna le suggestioni dell’Anfiteatro Flavio, in acciaio e vetro, avvolto da un velo di pietre fluttuanti, e un tetto in vetro e teflon, immaginato dall’archi-star Dan Meis[4], ma non solo. Il progetto prevede, infatti, che, oltre allo stadio, sia allestito un polo del divertimento aperto sette giorni su sette, dove sia possibile non solo assistere alle partite, ma anche fare shopping, mangiare, lavorare e molto altro. Il progetto richiederà anche il miglioramento o la costruzione d’infrastrutture, come quelle di due nuovi ponti, uno stradale e un altro pedonale sul Tevere e inoltre, la realizzazione nei pressi dello stadio di una fermata della metro. Sono previsti inoltre, 18.000 posti per automobili e motorini, 5.000 dei quali all’aperto, con bus navetta che porteranno direttamente allo stadio[5].
Tutto bello e tutto perfetto, diremmo. Almeno ad essere nei panni del tifoso giallorosso. Eppure tutto ciò ha un prezzo. Che alla lunga potrebbe essere salatissimo da pagare. E non solo in senso eufemistico. Va da sé che per molti, in Italia, il modello da seguire in fatto di gestione societaria è la Juventus. Cominciando dallo stadio di proprietà. E’ stato questo il biglietto da visita della nuova società, e subito l’entusiasmo dei tifosi è salito alle stelle.
Il voler dare al popolino e all’Unione Europea l’impressione di essere in grado di realizzare un qualcosa di decente, funzionale e sicuro scavalca a piè pari qualsiasi logica di gestione e di lungimiranza. Cose che al nostro calcio servirebbero come il pane. Tuttavia, “Roma non è stata costruita in un giorno”, dicono gli americani. Una lezione che ha imparato bene James Pallotta, che dopo aver lanciato la palla avanti sulla costruzione dello stadio, si trova a dover fare i conti con nuovi intoppi. Tutto il progetto è continuamente frenato da una montagna di ostacoli burocratici, ma anche dai rischi idrogeologici legati al tipo di terreno.
In ogni modo, un progetto definitivo ancora non c’è e tutti aspettano che il sindaco Ignazio Marino si esprima, dicendo chiaramente se è favorevole o meno all’opera.
Un’ipotesi che lascia Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio, scettico: “Le normative urbanistiche sono molto macchinose e vanno dall’invio dei progetti agli uffici tecnici competenti per ambiente ed urbanistica, fino a deliberazioni del Consiglio Comunale, della Giunta, l’invio del progetto alla Regione e alla Provincia. Per non parlare dell’intervento delle Sovrintendenze”.
Insomma, da un punto di vista burocratico, potrebbero esservi dei rallentamenti. Ma non è l’unica criticità riscontrata. L’area interessata, infatti, è stata oggetto d’un attento studio del WWF nel 2008, intitolato ‘Progetto di riqualificazione ambientale e promozione della fruizione dell’ansa di Tor di Valle GRA’. Leggendolo, si scopre che: “L’area golenale del tratto di fiume in oggetto non prevede ulteriori insediamenti, rispetto a quelli già esistenti. Altri non sono compatibili”.
E in effetti, per il Npgr, la zona era destinata ad altri consumi. Come ricorda Legambiente “97 ettari di Tor di Valle sono disciplinati come Agro Romano”. Un ultimo lembo, in cui “insistono numerose specie animali”, scriveva il Wwf. Ma oltre alla questione ambientale, va considerato che l’area di Tor di Valle è situata in un contesto su cui pende anche la futura urbanizzazione di Casal Grottoni, 190 mila mc di cemento. Un quadrante per il quale è già ora lecito parlare di mobilità insostenibile. “Partiamo da uno stato di fatto: la Via del Mare che è la prima autostrada fatta a Roma, è del 1928” ricorda l’urbanista Paolo Berdini, “e non può essere allargata, perché sul lato destro andando verso Roma c’è l’impalcato della ferrovia e dall’altra parte c’è il Tevere. Quindi aumentare il carico urbanistico su una strada già oggi al collasso, significa portare questa città sull’orlo del baratro”. Un’infrastruttura problematica[6].
Il 26 giugno 2013 Eurnova acquista l’area dalla società SAIS SpA e stipula, circa un anno dopo, maggio 2014, l’accordo con l’A.S. Roma. Alla fine del mese l’Eurnova trasmette poi lo studio di fattibilità al Comune di Roma. Arriviamo così ai primi di settembre, quando la giunta comunale dice il primo sì al progetto, riconoscendolo come opera di pubblico interesse. L’investitore privato proponente dovrà versare 195 milioni di euro per realizzare opere pubbliche complementari allo stadio, come il prolungamento della metro B fino a Tor di Valle e l’adeguamento della via del Mare e dell’Ostiense. La proprietà dello stadio sarà di una società del Presidente della squadra di calcio capitolina, James Pallotta, che lo renderà fruibile alla Roma con un accordo di 30 anni[7].
Ma…non si fa, nemmeno stavolta si fa.
La vicenda della costruzione dello stadio della Roma calcio ha concluso il suo primo tempo, per restare in ambito calcistico, con la decisione presa dal Consiglio comunale di Roma di attribuire al progetto, che prevede la realizzazione di 1 milione e duecentomila metri cubi di cemento (Antonio Cederna avrebbe detto ’12 hotel Hilton di Monte Mario’), il “riconoscimento dell’interesse pubblico”.
Converrà attrezzarsi per il secondo tempo della partita in cui, finita l’ubriacatura ideologica della ‘grande opera’, si dovrà tornare con i piedi per terra e ragionare sul complessivo assetto della città e sulle caratteristiche del progetto.
Ma si sa, il calcio è una religione e viene prima di tutto il resto. Eppure quando a Roma non ci sono i soldi neppure per i servizi sociali essenziali, anche la costruzione di un nuovo stadio deve lasciare spazio ad altre priorità. Certo le promesse sono merce preziosa in campagna elettorale ma ormai le urne sono lontane, i buchi di bilancio incombono così come le disillusioni.
Eppure, la realizzazione dello stadio, oltre a consegnare a Roma un’opera degna del suo nome, capace anche di attirare ulteriore turismo, sarebbe anche un importante segnale per una città da tempo immobile e dove anche molti servizi di base, a cominciare dalla manutenzione delle strade, non sono al livello.
Il 4 marzo, era un venerdì sera, e nell’Urbe già si pregustava il weekend, l’allora candidato sindaco del M5S, Virginia Raggi, dichiarò a Radio Radio: “Lo stadio della Roma lo facciamo da un’altra parte, a Tor Vergata e senza uffici, perché quella e speculazione edilizia e poi noi abbiamo già le torri dell’Eur che sono vuote e lo Sdo da riempire”. Al di là della questione due torri e Sdo, che meriterebbe capitolo chiarificatore a sé, un’ottima intervistatrice incalzò la Raggi chiedendole se era disposta a spingersi fino a revocare la pubblica utilità dell’opera. Risposta: “Sicuramente sì, la revocheremo”[8].
Inequivocabile.
Così, dopo il no alle Olimpiadi di Roma 2024, il braccio di ferro tra il nuovo sindaco Virginia Raggi e il mondo dello sport vira ora sul nuovo stadio della Roma. Intervenire non sarebbe semplice poiché la legge 147 del 2013[9] autorizza eventuali modifiche solo se “strettamente necessarie”. Dunque non consente stravolgimenti dell’opera. Per di più esiste una delibera[10], votata dal Comune nella gestione di Marino, che dichiara che per cambiare il progetto, o bloccarlo del tutto, occorrerebbe non una mozione, ma una nuova delibera che revochi la pubblica utilità.
Parnasi vola a Boston da Pallotta preoccupato per le presunte modifiche che prevedono eliminazione di torri e fermate della metro mentre Lega Ambiente boccia ancora, e con parole forti, la collocazione a Tor di Valle. Il progetto legato allo stadio della Roma non trova pace.
Non è tempo per noi, cantava un Ligabue d’annata.
Eppure, la realizzazione di un impianto polifunzionale potrebbe essere in grado di migliorare le entrate della società, migliorandone la redditività e la sostenibilità economico-finanziaria. Infatti, esistono studi internazionali (li trovate anche su Tifoso Bilanciato) che ci consentono di intuire quelli che potrebbero essere i benefici effettivi di un impianto da 52.000 posti sul conto economico dell’AS Roma.
Sul versante dei ricavi è possibile immaginare che i ricavi direttamente provenienti dallo stadio possano essere comprese fra i 64 e i 90 milioni di euro l’anno: il che vorrebbe dire più che raddoppiare i valori che la Roma esprime oggi.
Tabella 1 Probabili ricavi AS Roma.
Fonte: Tarì D., Nuovo Stadio della Roma: quali sono i possibili benefici per la squadra?, 29 marzo 2014.
Sul versante dei costi, oltre a quelli diretti di gestione dell’impianto, occorrerà considerare gli ammortamenti oltre ad oneri finanziari.
Il saldo è quindi molto positivo, perché parliamo di un impatto netto complessivo che potrebbe aggirarsi fra i 34 e i 46 milioni di euro, contro i 20 attuali, al netto dei costi di affitto dell’impianto.
Nel frattempo, il calcio italiano è sempre meno seguito. Le televisioni a pagamento hanno impigrito i tifosi. Le presenze allo stadio, in occasioni d’incontro di calcio professionistico continuano a subire un calo vertiginoso. Un tempo si andava allo stadio sì per tifare, ma anche per provare quelle ‘emozioni estetiche’ derivanti dagli artisti in campo e dai colori sulle tribune. “Spalti gremiti”, dicevano i commentatori. Non solo di gente che assisteva alla partita in corso, ma anche di bandiere, di entusiasmo e di variopinti sfottò. Di tutto questo è rimasto ben poco.
Tabella 2 Affluenza media campionato italiano.
Fonte: european-football-statistics.co.uk.
Infatti, negli ultimi 10 anni, la media degli abbonati in tutti gli stadi d’Italia, e non solo all’Olimpico, è calata del 60%. Tra le cause del calo della partecipazione di pubblico c’è senz’altro il fatto che gli impianti sono spesso vecchi e inospitali per tifosi e famiglie. All’Olimpico, poi, pesa anche la protesta che sta portando avanti la Curva Sud contro l’imposizione di barriere divisorie all’interno del settore più popolare del tifo giallorosso. Lo sciopero è stato interrotto solo una volta nell’ultima partita di campionato per quella che sarebbe potuta essere l’ultima gara del capitano Francesco Totti[11]. Però “non è giusto quello che sta accadendo, i tifosi devono tornare allo stadio […]. Senza la curva non è bello, perché escono subito i mugugni”[12], la spiegazione di De Rossi.
Tabella 3 Affluenza media.
Fonte: european-football-statistics.co.uk.
Pertanto, la scomodità e la fatiscenza degli impianti giocano un ruolo fondamentale, ancor più se aggravate dalla scarsa sicurezza e dal caro-prezzi dei biglietti, ma anche dall’introduzione di normative stringenti che regolano l’ordine pubblico e vincolano in merito all’acquisto dei biglietti, scoraggiando la gente dal frequentare gli stadi, sempre più desolatamente vuoti; e senza spettatori appassionati lo spettacolo si dimezza.
Riguardo al caro prezzi, in Italia, dal dopoguerra fino alla stagione 1983/1984, fatta eccezione per il campionato 1972/1973, il calcio cercava di contenere l’aumento del costo dei biglietti, la cui percentuale di crescita era costantemente inferiore all’inflazione. In quell’anno, invece, si ebbe un’improvvisa inversione di tendenza che aumentò drasticamente il ritmo d’incremento del costo medio di un biglietto, fino agli ultimi anni, nei quali questo trend galoppante si è assestato, anche per via della minor incidenza che questi andavano assumendo nelle entrate societarie. Soffermandoci sui biglietti più a buon mercato, se, ad esempio, nel 1977 un biglietto in curva all’Olimpico di Roma costava 2.200 lire, cinque anni dopo costava 5.000 e dieci anni dopo, nel 1987, 10.000. Nel 1992 si arrivò a un prezzo di 25.000 lire. Nella stagione 2010/2011, la prima della tessera del tifoso, sotto la presidenza Sensi, i biglietti di curva per una partita di seconda fascia, costavano 17 euro mentre per una gara considerata di prima fascia, il costo era di 19 euro. Nella stagione 2011/2012, il prezzo di un tagliando di curva era addirittura sceso a 13 euro, con la possibilità di riduzioni per donne, under 14 e over 65, mentre per la prima fascia, il costo era di 22 euro. Cinque euro in più della stagione precedente. Su questo può pesare il fatto che buona parte della tifoseria romanista rifiutasse di sottoscrivere l’abbonamento, perché costretta ad aderire al programma tessera del tifoso, poi bypassato grazie alla creazione della card “Home”[13]. Nella stagione 2012/2013, la prima sotto la presidenza americana ed anche quella in cui la maggior parte dei tifosi si è tornata ad abbonare con la creazione della Club Home, il prezzo di un tagliando di curva per una partita di seconda fascia era 17 euro, quattro in più della stagione precedente, mentre per una gara considerata di prima fascia, una curva costava 20 euro, due in meno dell’anno prima. Nella stagione 2013/2014, i biglietti di curva, per una partita di seconda fascia, si aggiravano intorno ai 20 euro (quasi 39.000 lire), con un tasso di crescita media annua che si è attestata intorno al 67%[14], mentre per una di prima fascia 30 euro. Rispettivamente tre e 10 euro più della stagione precedente.
Nello scorso campionato, con il comunicato emanato dall’AS Roma in data 18 luglio 2014, per una gara di seconda fascia acquistare una biglietto in curva costava 25 euro, mentre per una di prima fascia 35 euro. Un ulteriore incremento di quattro euro rispetto all’annata precedente.
A margine di questi dati, prima di ogni considerazione, vanno fatte alcune importanti specifiche: la società ha deciso di eliminare qualsiasi agevolazione per donna, under 14 e over 65 per quanto riguarda i settori popolari. Una delle giustificazioni addotte dall’AS Roma circa questo incremento dei prezzi è il voler maggior tifosi fidelizzati che sottoscrivano annualmente l’abbonamento. Sta, di fatto, però che, se con questo sicuramente si risparmia, anche qui ci sono stati rincari. Se nella stagione 2010/2011 abbonarsi alle curve costava 235 euro, con forti riduzioni per donne, under 14 e over 65, in questa stagione il costo è di 285 euro. Con le riduzioni di cui sopra che si sono largamente assottigliate. Il risparmio c’è, indubbiamente. Ma penso si possa esser tutti d’accordo che, più di essere una politica contro il tifoso cosiddetto ‘occasionale’, è un modo per scremare il tifoso e rendere inaccessibile lo stadio alla maggior parte dei romani, il cui reddito mediamente non supera gli 800 euro. Sempre inserendo tutto ciò nel famoso motto “se le famiglie non vanno allo stadio, è colpa degli ultras”, facciamo presente che un nucleo familiare di quattro persone, per un Roma – Sassuolo qualunque, spenderebbe la bellezza di 100 euro. Vale a dire un ottavo di quello che per molti italiani è il regolare salario. E questo perché ci fermiamo a ragionare sulle curve. Altrimenti dovremmo aprire un capitolo a parte sui Distinti (in sostanza stessa visibilità delle curve, forse addirittura peggiore) arrivati a costare 35 euro per le gare meno importanti e addirittura 50 euro per i big match, e sulle tribune[15].
Figura 1 Abbonamenti AS Roma.
Fonte: Tarì D., Nuovo Stadio della Roma: quali sono i possibili benefici per la squadra?, 29 marzo 2014.
Ormai, la voce ‘vendita dei biglietti’ nei guadagni societari non rappresenta più un punto importante da diverso tempo e quindi è facilmente manipolabile dalla volontà societaria. Per farla breve: “Volere è potere”. Quello del ‘folle’ incremento del prezzo dei biglietti è un punto focale della gestione americana, la quale nei suoi cinque anni di presidenza ha, in alcuni settori, quasi raddoppiato il costo del tagliando. Eppure, il pubblico di Roma, indistintamente tra Roma e Lazio, gente che con i suoi pochi trofei e le sue poche soddisfazioni, c’è sempre stato. Al di là di tutto.
A ciò si aggiunge la scomodità di dover parcheggiare a milioni di anni luce dalle entrate, l’umiliazione di dover subire molteplici controlli in stile check-in di guerra, la visibilità limitata e a volte, se per sfortuna si acquistano le prime file, addirittura impossibilitata dalla presenza di barriere e cancelli, e lo scarno scenario di gradinate semivuote e fredde.
Lo Stadio Olimpico diviene, almeno su sponda romanista, un vero e proprio fortino inaccessibile regolarmente per la maggior parte dei frequentatori che ancora oggi decidono di acquistare il biglietto a seconda della partita e del proprio umore. Ma il viatico, più che quello della fidelizzazione, è sempre più quello di una sostituzione del pubblico. In pieno stile inglese con un tocco d’italianità, che in questi casi non guasta mai, vale a dire quello della burocrazia nell’acquisto dei tagliandi e nelle continue, e sempre in evoluzione, regole restrittive per seguire la propria squadra in trasferta. La nuova gestione dell’AS Roma, a fare un calcolo sommario, sarà forse piena di successi in campo sportivo, ma avara di gioie per chi ha deciso di vivere la propria passione in una determinata maniera. L’AS Roma è il nuovo che avanza, e in questo nuovo, sulla scia di quanto già successo oltralpe, se si fa eccezione per la Germania dove, magicamente, si conciliano decentemente calcio moderno e una minima libertà per la passione popolare, non c’è più spazio per chi ha contribuito a rendere il calcio uno dei principali indotti del paese. E questo perché non ci sono ordinamenti che impediscano alle società di agire in determinati modi[16].
In futuro, nel breve futuro, saremo solo ed esclusivamente spettatori. E se non si riuscirà a entrare, neanche in modo defilato, nella stanza dei bottoni, come diceva Pietro Nenni, forse sarà meglio passare i nostri fine settimana in altri luoghi. Certamente meno tristi, grigi e privi di senso degli spalti che ci aspettano. Il nuovo stadio a Roma, se queste sono le premesse, non potrà che sancire la definitiva morte di un certo pubblico. E purtroppo sarà solo una delle prime piazze a cadere sotto un effetto domino che, volente o nolente, non lascerà scampo a nessuno.
[1] Scopece M., Roma, stadio di proprietà, antidoto allo spopolamento, in www.quotidiano.net, 4 ottobre 2016.
[2] Cristofori A., Roma Roma Roma: (1983-2013) Un urlo d’amore lungo trent’anni, Greenbooks Editore, 2013.
[3] Spicciariello F., Roma, congelato lo Stadio. La Capitale non ha un euro, in “La Notizia”, 16 ottobre 2013.
[4] Bellinazzo M., Goal Economy. Come la finanza globale ha trasformato il calcio, Baldini&Castoldi s.r.l., Milano, 2015, p.135.
[5] Ibidem p.138.
[6] Spicciariello F., Roma, congelato lo Stadio. La Capitale non ha un euro, in “La Notizia”, 16 ottobre 2013.
[7] Berdini P., Nuovo stadio della Roma: perché lo pagheremo anche noi, in “Il Fatto Quotidiano”, 13 gennaio 2015.
[8] Iacoboni J., Raggi prepara una seconda battaglia, il braccio di ferro sullo stadio della Roma, in “La Stampa”, 23 settembre 2016.
[9] Comma 304, lettera b.
[10] La delibera è la 132 del 22 dicembre 2014.
[11] Scopece M., Roma, stadio di proprietà, antidoto allo spopolamento, in www.quotidiano.net, 4 ottobre 2016.
[12] Balzani F., E’ una bella Roma, in “Leggo”, 3 ottobre 2016.
[13] Meloni S., Roma, dove lo stadio costa più di un volo aereo, in iogiocopulito.ilfattoquotidiano.com, 30 gennaio 2016.
[14] Rossi V., Campagna abbonamenti: osservazioni sui prezzi, in www.myroma.it, 2014.
[15] Meloni S., 35 Euro per una curva e stadi ultramoderni: il futuro che ci seppellirà, in www.sportpeople.net, 22 luglio 2014.
[16] Si pensi, ad esempio, l’Everton e l’Hull City che hanno provato a cambiare rispettivamente simbolo e nome vedendosi costretti a fare marcia indietro dietro le rimostranze dei tifosi.